Conferimento di criptovalute in società: ci riusciremo?

Cosa sono, in sintesi, le criptovalute

È ormai universalmente nota la diffusione di criptovalute, veri e propri “valori digitali” che vengono scambiati su apposite piattaforme senza l’intervento di intermediari.

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Tali “entità” stanno rivoluzionando il mondo delle transazioni in quanto si prestano ad essere veicolate molto agevolmente, anche in assenza di un sistema centrale regolamentato.
In buona approssimazione si può parlare di “valute virtuali”, con le quali, appunto, scambiare beni o servizi: è interessante notare come tali valute hanno tanto maggiore autorevolezza e diffusione quanto una “comunità” di utenti ne riconosca il loro valore.

In sostanza, anche il richiamo al concetto di “valuta” rende possibile una prima assimilazione – teorizzata e sostenuta, come si vedrà più avanti – nei termini di “mezzo di pagamento”.
Tra le criptovalute più famose vi è certamente il bitcoin: ma accanto ad esso se ne sono diffuse altre, alcune delle quali, peraltro, nel medio periodo non sono state ritenute attendibili, come si vedrà più avanti.

Come si effettuano i conferimenti in società (costituzione e aumento di capitale)

I soci e/o coloro che abbiano titolo per entrare a far parte di una società possono sottoscrivere quote di capitale sia in fase di costituzione della società stessa, sia, qualora deliberato dalla relativa assemblea, in fase di aumento di capitale con conferimenti in natura: questi ultimi si configurano come tutti quei conferimenti diversi dal denaro.
In entrambe le modalità sono previsti dalla legge procedimenti volti a consentire agli amministratori di accertare l’effettiva consistenza del conferimento effettuato, in maniera tale che esso garantisca almeno la parte di capitale sottoscritta, evitando rischi di sottocapitalizzazione.

In caso di conferimento in natura (sia in fase costitutiva che in sede di aumento gratuito) nelle società di capitali è richiesta apposita procedura di stima.
Avendo chiarito che i conferimenti in natura sono “tutto ciò che non è rappresentato da denaro”, vi è il dubbio se le criptovalute debbano essere sottoposte alla disciplina di tali conferimenti oppure, in senso contrario, qualificandosi già come “denaro”, sfuggano a tale disciplina.

La posizione della dottrina e della giurisprudenza

La quasi totalità della dottrina ha ritenuto che il bitcoin sia un’entità non qualificabile come denaro; ne deriverebbe che l’applicazione della disciplina sui conferimenti in natura sarebbe imprescindibile; si evidenzia in questo senso come anche dalla mancanza di una autorità centrale che riconosca “autorità” di valuta alla criptovaluta non possa che negarsi, inevitabilmente, la sua qualifica di “denaro”.
Anche la Banca Centrale Europea finora ha qualificato le valute virtuali semplicemente come “mezzi di scambio” più che mezzi di pagamento.
Secondo altre voci (per la verità isolate) non vi sarebbero impedimenti a considerare la criptovaluta come assimilabile al denaro.
La limitata giurisprudenza che si è occupata del conferimento di criptovaluta – in un caso di aumento di capitale di una società per azioni – ha sostenuto che per il conferimento in oggetto non dovrebbero applicarsi le norme sul conferimento in natura ma, allo stesso tempo, che la mancanza di un sistema stabile e verificabile, come per altre monete aventi corso legale, non consenta di determinare un controvalore certo in euro, essendo perciò precluso il ricorso alla perizia di stima. Merita di essere precisato, tuttavia, come il caso in oggetto riguardasse una criptovaluta rivelatasi poi una truffa.

Conclusioni

Per quanto sopra rapidamente visto non è possibile al momento tracciare una linea operativa certa:

  • sicuramente l’inquadramento nei termini di un conferimento in natura sarebbe soluzione più prudenziale perché quantomeno vi sarebbe un filtro preliminare con cui possano venire indicati criteri di valore che portino ad una determinata valutazione;
  • la giurisprudenza, tuttavia, sebbene in relazione ad un caso molto particolare quanto controverso, sottolinea come l’estrema difficoltà di valutazione non permetta di attribuire un valore certo e quindi consentire – in ogni caso – una procedura valutativa utile ai fini in oggetto. Valori alquanto volatili e comunque non valutabili in misura
    Pertanto, allo stato non è possibile giungere ad una conclusione attendibile.

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