NEWSLETTER LABOUR LUGLIO 2025

È territorialmente competente il foro del luogo di conclusione del contratto ovvero la sede aziendale ove il lavoratore è addetto 

Con la sentenza n. 315 del 5 giugno 2025, il Tribunale di Vicenza ha chiarito che quando l’attività lavorativa può essere espletata in un luogo qualunque, senza che emerga presso l’abitazione del lavoratore l’esistenza di collegamenti soggettivi o oggettivi tali da caratterizzare tale abitazione come dipendenza aziendale e dunque tali da ancorare l’attività lavorativa a quel luogo, non sussiste alcun aggancio sufficiente ad individuare nel luogo di residenza la competenza territoriale. In tale caso, dunque, il foro territorialmente competente è quello del luogo di conclusione del contratto ovvero la sede aziendale ove il lavoratore è addetto.  

Giusto il licenziamento del dipendente che utilizza, per propri fini, i dati personali sottratti da un curriculum inviato all’azienda 

Con la sentenza n. 302 del 24 aprile 2025, la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata confermando la legittimità del licenziamento del lavoratore che, addetto alla gestione ed allo smistamento della posta interna aziendale, nello svolgimento delle proprie mansioni, aveva intercettato il curriculum vitae di una candidata e ne aveva recuperato il numero di cellulare, per poi inviarle, tramite Whatsapp, una serie di messaggi, con evidente finalità personale. A seguito delle opportune indagini, la Società avviava nei confronti del dipendente un procedimento disciplinare che si concludeva con il provvedimento di licenziamento per giusta causa. Il lavoratore agiva, dunque, innanzi al Tribunale di Milano eccependo l’illegittimità del provvedimento di licenziamento, ritenuto sproporzionato rispetto alla condotta adottata dal dipendente. La Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado e dunque la legittimità del licenziamento per giusta causa, ha chiarito che la condotta adottata dal dipendente configurava una lesione irreparabile del vincolo fiduciario e veniva ritenuta intollerabile alla luce dell’elemento soggettivo afferente alla durata ultraventennale del rapporto di lavoro, nonché alla luce dell’indubbio danno all’immagine ed alla reputazione per la società. 

È legittima la cessione di un ramo d’azienda dematerializzato se formato da lavoratori con specifico, autonomo e peculiare know how 

La Corte di Cassazione ha chiarito che, affinché possa ritenersi legittima la cessione del ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., è necessario che il ramo ceduto rispetti la nozione d’impresa, presentando quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento dell’attività imprenditoriale sul mercato. Nel caso in esame i dipendenti impugnavano il trasferimento del ramo d’azienda presso cui svolgevano la prestazione lavorativa, deducendo la nullità della cessione per insussistenza dell’autonomia del ramo ceduto e per difetto di preesistenza del ramo rispetto alla cessione. La Corte d’Appello, a conferma della decisione di primo grado, si pronunciava accertando l’inefficacia, nei confronti dei lavoratori ricorrenti, del trasferimento del ramo d’azienda. La Suprema Corte, con la pronuncia n. 17201 del 26/5/2025, ulteriormente confermando quanto già affermato dai giudici di merito, ha riconosciuto, legittima anche una cessione di ramo “dematerializzato” d’azienda, ciò purché il gruppo di dipendenti ceduti, già al momento dello scorporo, esprima una professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know how.  

Incostituzionale il limite di sei mensilità previsto per la tutela indennitaria del lavoratore ingiustamente licenziato dall’impresa che occupa fino a 15 dipendenti 

La Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui quest’ultimo limita la tutela indennitaria spettante al lavoratore ingiustamente licenziato di un’impresa al di sotto dei 15 dipendenti, al tetto massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. L’esiguità del delta tra l’importo indennitario minimo e quello massimo spettante al dipendente dell’impresa sottosoglia ingiustamente licenziato, determina, secondo la Corte, l’impossibilità di garantire un’adeguata personalizzazione del danno, stante la difficoltà per i giudici di proporzionare adeguatamente, e con la dovuta specificità, l’indennità spettante al lavoratore sulla base della maggiore o minore gravità dell’illegittimo licenziamento.  Alla luce della sentenza in commento al dipendente dell’impresa sottosoglia, in caso di licenziamento illegittimo, spetterà una tutela indennitaria massima non più limitata alle 6 mensilità, ma bensì estesa fino al massimo indennizzo di 18 mensilità, dimezzato rispetto a quello spettante al lavoratore dell’impresa che occupa più di 15 dipendenti. 

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