NEWSLETTER LEGAL MARZO 2025

CORPORATE 

Responsabilità dei soci di società di capitali estinta 

Con la sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affrontato una questione complessa e di grande rilevanza per le società di capitali: la responsabilità dei soci a seguito della cancellazione della società dal Registro delle Imprese. Secondo quanto disposto dall’art. 2495 c.c., la cancellazione della società dal Registro delle Imprese comporta l’estinzione della stessa, ma i creditori sociali, qualora non soddisfatti, possono rivolgersi ai soci per il recupero dei crediti, entro i limiti delle somme ricevute in seguito alla liquidazione della società. Inoltre, per i soggetti IRES, l’art. 36 del DPR 602/73 stabilisce che i soci che abbiano ricevuto beni sociali durante la liquidazione siano responsabili per le imposte dovute dalla società, nei limiti del valore di tali beni. Dunque, la Corte ha sottolineato che il processo tributario, in caso di cancellazione della società, non si estingue, ma si interrompe e deve essere riavviato nei confronti dei soci (in litisconsorzio necessario), al fine di accertare la loro responsabilità fiscale.  

La Corte ha altresì precisato che il Fisco dovrà procedere con un nuovo accertamento, senza poter estendere la pretesa tributaria nel processo già avviato contro la società estinta, per provare la responsabilità dei soci e l’eventuale distribuzione di beni sociali che potrebbe averli resi responsabili dei debiti fiscali. Tale responsabilità dei soci, pertanto, non può essere dedotta automaticamente, ma solo mediante un apposito atto impositivo notificato ai soci stessi. 

Ritardo nella convocazione dell’assemblea da parte degli amministratori in prorogatio 

Con l’ordinanza del 17 gennaio 2025, il Tribunale di Milano ha chiarito un aspetto cruciale riguardante il ruolo degli amministratori in prorogatio e quello del Collegio Sindacale in caso di ritardi ingiustificati nella convocazione dell’assemblea per il rinnovo delle cariche sociali. Il Tribunale ha sottolineato che un notevole ritardo, senza giustificazioni, da parte degli amministratori in prorogatio nella convocazione dell’assemblea, soprattutto quando richiesto dal socio unico, può comportare la necessità di un intervento sostitutivo del Collegio Sindacale ai sensi dell’art. 2406 c.c., comma 1. La condotta omissiva degli amministratori è stata ritenuta di “inaudita gravità”, ostacolando il diritto del socio unico, che detiene il potere di direzione e coordinamento della società, di nominare il nuovo organo amministrativo. In tali circostanze, l’intervento del Collegio Sindacale non solo è legittimo, ma necessario per garantire il corretto svolgimento della governance societaria, non costituendo una violazione delle regole di ripartizione dei poteri tra gli organi sociali. Tale intervento, infatti, si inserisce come un potere autonomo e correttivo di fronte all’inerzia del Consiglio di Amministrazione.  

Il diritto di sottoscrizione parziale dell’aumento di capitale in una S.r.l. 

Il Tribunale di Brescia, con l’ordinanza del 10 febbraio 2025, ha precisato che il diritto del socio di una S.r.l. di sottoscrivere un aumento di capitale in proporzione alla propria partecipazione, ai sensi dell’art. 2481-bis c.c., include anche la facoltà di sottoscrivere solo parzialmente la quota di aumento. Nel caso di specie, un socio di minoranza di una S.r.l. impugnava una delibera assembleare che mirava ad azzerare il capitale sociale e a ricostituirlo. Il socio riteneva che la delibera fosse errata, basata sull’erroneo presupposto di una perdita del capitale sociale. Inoltre, chiedeva un provvedimento cautelare per bloccare la perdita del suo status di socio, che sarebbe derivata dal rifiuto della società di accettare la sua sottoscrizione parziale dell’aumento di capitale previsto dalla delibera. In particolare, il giudice ha sottolineato che, secondo il secondo comma dell’art. 2481-bis c.c., la parte dell’aumento di capitale non sottoscritta da uno o più soci possa essere sottoscritta dagli altri soci o da terzi. Il giudice ha ritenuto, inoltre, legittimo il ricorso a un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., volto a ottenere l’iscrizione nel Registro delle imprese della sua posizione di socio, dopo aver esercitato parzialmente il diritto di sottoscrizione. Questo provvedimento sarebbe stato più vantaggioso rispetto al sequestro giudiziario, in quanto garantiva al socio la pronta disponibilità della partecipazione societaria e il pieno esercizio dei diritti patrimoniali ed economici connessi. Invece, il sequestro avrebbe avuto una funzione limitata alla mera conservazione della partecipazione, con i diritti esercitati da un custode giudiziario. 

 

TRIBUTARIO 

Deducibilità dei compensi per gli amministratori-soci 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5318/2025, ha stabilito che i compensi degli amministratori-soci di una società di capitali sono deducibili ai fini fiscali solo in presenza di specifiche condizioni. In particolare, è necessario che il socio-amministratore sia effettivamente assoggettato a un potere direttivo, gerarchico e disciplinare, oltre a svolgere mansioni diverse da quelle previste per la carica sociale. La controversia ha avuto origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate, con cui venivano recuperati i compensi spettanti agli amministratori, i quali, nel caso di specie, rivestivano anche la qualifica di dipendenti assunti dalla società. La Corte ha sottolineato che, sebbene la qualifica di amministratore-socio possa essere compatibile con quella di lavoratore subordinato, l’effettiva subordinazione deve emergere da un concreto assoggettamento alle direttive dell’organo amministrativo e non può basarsi solo su orari di lavoro o su una regolare retribuzione. Senza una distinzione chiara tra le funzioni di amministratore e quelle di dipendente, il costo non può essere considerato deducibile. 

Rinuncia ai dividendi e incasso giuridico 

Con la risposta a interpello n. 59/2025, l’Agenzia delle Entrate ha approfondito il tema dell’incasso giuridico in relazione alla rinuncia dei soci a dividendi già deliberati, ma non ancora distribuiti. Secondo l’interpretazione dell’Agenzia, la rinuncia dei soci, persone fisiche non imprenditori, al credito per dividendi, anziché generare una sopravvenienza attiva, implica che l’importo rinunciato debba essere considerato come incasso giuridico, con conseguente applicazione della ritenuta del 26% su tale importo prevista dall’art. 27 del DPR 600/73. L’Agenzia, infatti, afferma che il valore fiscale del credito per dividendi coincide con il valore nominale, facendo sì che la rinuncia non generi una sopravvenienza attiva per la società, ma che il socio sia soggetto alla tassazione immediata tramite ritenuta. Tale orientamento si discosta dalla dottrina prevalente, che considerava il credito come avente valore fiscale pari a zero, con l’emersione di una sopravvenienza attiva in capo alla società. 

 

RESPONSABILITÀ D.LGS. 231/2001 

Le società unipersonali e la responsabilità da reato dell’ente 

Le società unipersonali a responsabilità limitata sono soggette alla disciplina della responsabilità da reato degli enti prevista dal DLgs. 231/2001. Questo principio si basa sul fatto che tali società sono enti dotati di personalità giuridica e sono formalmente distinti dalla persona fisica dell’unico socio, a differenza delle imprese individuali, che non godono della stessa autonomia giuridica. 

La terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato un orientamento consolidato, secondo cui la responsabilità da reato degli enti si applica a tutti gli enti con personalità giuridica, incluse le società, anche quando unipersonali, in quanto dotate di un patrimonio e un’organizzazione separati dalla persona fisica del socio. Tale interpretazione trova fondamento nell’art. 1, comma 2, del DLgs. 231/2001, il quale include gli enti che, pur senza personalità giuridica, sono comunque soggetti di diritto distinti dalla persona fisica. 

In sostanza, la Corte ha chiarito che la responsabilità penale degli enti, sancita dal DLgs. 231/2001, si applica anche alle società unipersonali, mentre esclude le imprese individuali, per le quali non vi è una distinzione giuridica tra l’operato del titolare e quello dell’impresa. Questo orientamento ribadisce l’autonomia giuridica delle società unipersonali rispetto al socio unico, ponendo una marcata separazione tra la persona fisica e l’ente giuridico. 

Il principio di proporzionalità nel sequestro preventivo delle imprese 

La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 2836 del 23 gennaio 2025, ha ribadito il principio di proporzionalità nel contesto del sequestro preventivo, escludendo un’applicazione eccessiva della misura su una società semplice agricola. La Corte ha annullato la decisione del tribunale del riesame che aveva disposto il sequestro preventivo di beni aziendali, conti correnti e quote societarie, sottolineando che tale misura non deve comportare una compressione ingiustificata dei diritti di proprietà e di iniziativa economica dell’ente. Il principio di proporzionalità, sancito dall’articolo 275 c.p.p., impone al giudice di modulare il sequestro a quanto strettamente necessario per prevenire maggiori danni all’impresa. Questo principio non si applica solo al momento dell’imposizione della misura, ma anche durante la sua durata, richiedendo una valutazione costante della sua necessità e adeguatezza in relazione agli sviluppi del caso concreto.  L’articolo 45 del Dlgs. 231/2001, infatti, consente al giudice, su richiesta del pubblico ministero, di applicare misure cautelari interdittive quando vi sono gravi indizi di responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo connesso a un reato, e un concreto rischio di commissione di reati simili mentre l’articolo 34 dello stesso decreto consente il sequestro preventivo del patrimonio dell’ente se vi è pericolo che la disponibilità di beni legati al reato possa aggravare le conseguenze del crimine o favorire la commissione di altri illeciti. La Corte ha evidenziato che il sequestro deve essere calibrato attentamente, tenendo conto anche di elementi positivi come le prospettive di reddito o operazioni straordinarie previste dalla società. La sentenza afferma che il giudice deve sempre trovare un giusto equilibrio tra la necessità di tutelare gli interessi cautelari e il rispetto dei diritti fondamentali dell’ente, evitando misure troppo invasive che potrebbero compromettere in modo irreversibile l’attività economica dell’impresa. 

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