Il 22 dicembre 2021 la Commissione Europea ha presentato l’attesa proposta di Direttiva (COM(2021) 565 final) per contrastare l’uso improprio di società di comodo, sempre più spesso utilizzate ai fini di una pianificazione fiscale aggressiva o per evadere il Fisco.
La stessa Commissione stima che nell’UE l’elusione fiscale legata all’uso improprio di società di comodo si attesti a circa 23 miliardi di euro: una cifra molto importante che l’organismo cerca di recuperare con l’introduzione di queste nuove disposizioni, che dovrebbero essere adottate dagli Stati Membri entro il 30 giugno 2023 ed entrare in vigore dal 1 gennaio 2024.
Il “freno” che la Commissione cerca di dare a chi fosse intenzionato a costituire ed utilizzare società di questo tipo è legato al superamento del “substance test”, che ha l’obiettivo di aiutare gli Stati membri a identificare le imprese che esercitano un’attività economica, ma che non hanno una sostanza minima e sono utilizzate in modo improprio per ottenere dei vantaggi fiscali. Questo test segue una sequenza logica caratterizzata da due passaggi chiave:
- Il primo è finalizzato a individuare quelle società a rischio concreto di mancanza di sostanza e di abuso fiscale tramite uno screening da effettuare con determinati criteri, che esporremo di seguito.
- Con il secondo si richiede alla società di indicare nella dichiarazione dei redditi annuale, per ciascun periodo d’imposta e allegandovi prove documentali, il soddisfacimento degli “indicatori di sostanza minima”.
Vediamo quindi nel dettaglio in cosa consistono questi due passaggi che individuano la cd. shell company.
Fase di screening
La prima fase consiste nell’applicazione di un sistema di “filtraggio” al fine di individuare quelle società a rischio concreto di mancanza di sostanza e di abuso fiscale. In particolare, sono da considerarsi a rischio quelle società che rispondono positivamente ai seguenti criteri (“gateways”):
- più del 75% dei ricavi maturati dall’impresa nei due periodi d’imposta precedenti è reddito passivo(ad esempio, dividendi, interessi ecc.) o, in alternativa, il valore contabile delle partecipazioni che detiene oppure dei suoi beni immobili e mobili di valore contabile superiore a 1 milione di euro è superiore al 75% del valore contabile totale delle attività;
- l’impresa esercita in prevalenza un’attività transfrontaliera, consistente nel fatto che:
- più del 60% del valore contabile dei suoi beni immobili e mobili di valore contabile superiore a 1 milione di euro è stato situato al di fuori dello Stato membro dell’impresa nei due periodi d’imposta precedenti; o
- almeno il 60% del reddito passivo dell’impresa è legato ad operazioni transfrontaliere;
- nei due periodi d’imposta precedenti, l’impresa ha affidato in outsourcing la gestione corrente dell’amministrazione e l’assunzione di decisioni su funzioni significative.
Fase dichiarativa
Le società che soddisfano tutti e tre i criteri sono tenute ad indicare nella loro dichiarazione dei redditi annuale, per ciascun periodo d’imposta e allegandovi prove documentali, i seguenti “indicatori di sostanza minima”:
- l’impresa dispone di locali propri o ad uso esclusivo nello Stato membro di residenza;
- l’impresa ha almeno un conto bancario proprio e attivo nell’Unione;
- almeno uno tra i seguenti indicatori:
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- residenza e attività svolte per la società dagli amministratori (a titolo esemplificativo, i poteri decisionali su patrimonio e il loro costante esercizio, la loro indipendenza rispetto ad altre società del gruppo, etc);
- residenza e attività svolte dai dipendenti (contratti in essere, mansioni svolte, responsabilità, etc).
La proposta di direttiva prevede comunque la possibilità chiedere un’esenzione dagli obblighi dichiarativi, concessa se l’impresa stessa è capace di dimostrare, fornendo prove sufficienti ed obiettive, che la sua esistenza non è in grado di ridurre l’onere fiscale del suo o dei suoi beneficiari effettivi o del gruppo, nel suo insieme, di cui l’impresa fa parte.
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Cosa succede se non si supera il substance test?
Se questo substance test ha esito positivo (quindi tutti e tre i parametri della prima fase sono rispettati), si presume che la società non sia di comodo.
Al contrario, se anche solo uno non viene rispettato, si presume che la società sia stata costituita per motivi di elusione delle norme fiscali e sia quindi una shell company.
Le conseguenze di questo esito sono piuttosto importanti, da un punto di vista fiscale:
- in primo luogo, gli altri Stati membri (diversi da quello di insediamento della società di comodo) disconosconoogni beneficio previsto sia dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, sia dei regimi di esenzione da ritenuta previsti dalla Direttiva Madre-Figlia per i dividendi e dalla Direttiva Interessi&Royalties.
- I soci delle società di comodo residenti nello stesso Stato Membro della società sono tassati per trasparenza (quindi i redditi della società di comodo sono loro attribuiti, come se la società non esistesse).
- Per queste società di comodo non verranno più rilasciati certificati di residenza fiscale, validi per accedere a qualsiasi beneficio fiscale.
Si tenga presente che la Direttiva consente comunque all’impresa che non supera il substance test il diritto di fornire prova contraria, ossia dimostrare la sostanza economica della società che, secondo i parametri oggettivi, risulterebbe di comodo.
Conclusioni e prospettive future
Come abbiamo visto, la proposta di Direttiva sulle società di comodo si inserisce nel panorama delle numerose misure che l’Europa sta adottando, e adotterà nel futuro, nella lotta contro gli abusi fiscali. Insieme alle azioni di monitoraggio e scambio di informazioni sempre più presenti nel contesto europeo, rappresenta un passo in avanti molto importante a favore di una maggiore trasparenza delle società e di tutela del contesto economico di uguaglianza e crescita economica, proprio dell’Unione europea.
Questa Direttiva potrebbe anche rappresentare una spinta per la riforma della disciplina italiana sulle società di comodo. Come si nota infatti dalla lettura della norma, le motivazioni sull’introduzione della Direttiva sono similari a quelle che ispirano la normativa nazionale italiana (art. 30 della L. 724/94), finalizzata a individuare “scatole vuote” che non esercitano un’attività economica effettiva, ma gli effetti e le conseguenze sono diversi: nella normativa interna viene attribuito un reddito minimo tassabile con maggiorazione, mentre nella normativa europea si ha il diniego dei benefici delle Convenzioni e delle Direttive sulle ritenute. Ci si attende una futura modifica anche del regime italiano, che nel tempo dovrà adeguarsi alle indicazioni europee fornite su questo tema.