La Corte di Cassazione con le recenti sentenze nn. 27267 e 21261 del 2023 ha sancito che, in virtù dei principi comunitari di libertà di stabilimento e divieto di restrizione ai movimenti dei capitali, le plusvalenze realizzate in Italia da società non residenti, prive di stabile organizzazione, devono essere assoggettate allo stesso regime fiscale delle plusvalenze realizzate da società italiane (c.d. regime PEX, Participation Exemption, ex art. 87 TUIR).
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Devono pertanto essere esenti nella misura del 95% in luogo della tassazione integrale con imposta sostitutiva al 26%.
La Corte ha sottolineato:
- l’inammissibilità dell’attuale disparità di trattamento e
- la circostanza che le restrizioni al diritto comunitario previste da una normativa interna non possono essere risolte con il ricorso alle Convenzioni e, in particolare, con l’accreditamento delle imposte pagate in Italia sul medesimo reddito.
Infatti, con riferimento al primo punto, il giudizio di inammissibilità muove dagli stessi presupposti che già in passato determinarono la censura della normativa italiana sui dividendi (e portarono l’Italia a inserire il comma 3-ter nell’art. 27 del DPR 600/1973). In tale occasione venne previsto un prelievo a titolo d’imposta pari all’1,2% sui dividendi erogati a società residenti dell’UE non titolate al regime “madre-figlia”, equiparandolo sostanzialmente a quello gravante sui soci italiani.
Con riferimento al secondo punto, i giudizi hanno evidenziato come la convenzione non sia necessariamente in grado di consentire il recupero totale delle imposte estere (poiché sovente lo stesso è solo parziale). L’eliminazione delle disparità di trattamento tra società italiane ed europee si pone su un piano diverso rispetto a quello della riduzione o dell’eliminazione della doppia imposizione, a cui sono invece deputate le convenzioni.
La decisione assunta dai Giudici, pertanto, si basa sull’interpretazione delle leggi fiscali italiane in conformità con il diritto europeo.
La Cassazione ha infatti ritenuto che negare il beneficio del regime PEX, participation exemption, alle società europee sarebbe discriminatorio e lesivo del principio della libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione Europea.
Nello specifico, al rispetto dei requisiti previsti dalla normativa italiana, troverebbe applicazione la disciplina della PEX.
La tassazione della società non residente: le plusvalenze
I redditi percepiti da una società non residente, priva di stabile organizzazione, sono disciplinati dall’art. 151, co. 3, del TUIR:
- il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato (ad esclusione di quelli esenti da imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva);
- si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi indicati nell’art. 23;
- tali redditi concorrono a formare il reddito complessivo e sono determinati secondo le disposizioni del Titolo I del TUIR (relativo all’IRPEF) relativo alle singole categorie reddituali nelle quali rientrano (redditi fondiari, di lavoro autonomo, di lavoro dipendente, diversi).
Le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni conseguite da società estere sono ricomprese nella categoria dei redditi diversi (con conseguente tassazione in sede di dichiarazione dei redditi, quadro RT).
Non trova quindi applicazione il regime di esenzione PEX (art 87) rubricato all’interno del reddito d’impresa.
Il regime convenzionale
La maggioranza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni prevede la non tassazione in Italia delle plusvalenze realizzate da soggetti non residenti. Riservano quindi la potestà impositiva esclusivamente al Paese di residenza del venditore. La tassazione esclusiva del Paese di residenza esclude a monte il problema.
Esiste tuttavia un numero limitato di convenzioni che prevede la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del venditore e dell’Italia (quale, ad esempio, e a certe condizioni, la convenzione con la Francia). In tale situazione è ravvisabile una possibile violazione della libertà di circolazione dei capitali.
In linea di principio tale violazione potrebbe non verificarsi qualora il contribuente venditore estero potesse beneficiare – nel proprio Stato di residenza – di un credito di imposta.
Tale credito di imposta, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente a evitare la distorsione in esame qualora – per qualunque ragione – il venditore non residente non potesse in concreto scomputare l’imposta estera (versata in Italia). Ciò si verifica, per l’appunto nel caso della Francia (oggetto delle sentenze richiamate), ove, essendo le plusvalenze in esame esenti in base al diritto interno francese, il credito di imposta non è riconosciuto.
La situazione ad oggi: la opzioni di gestione della plusvalenza da cessione
Nell’attuale contesto, quindi, le cessioni di partecipazioni in società italiane:
- effettuate da società comunitarie, e
- tassate anche in Italia, nella misura del 26%, in base alle Convenzioni (potestà concorrente)
potrebbero essere gestite con la richiesta di rimborso dell’imposta sostitutiva versata in Italia.
Prospettive future: il disegno di Legge di Bilancio 2024
Alla luce dell’orientamento ormai consolidato della Cassazione, il disegno di Legge di Bilancio 2024 prevede l’introduzione di una modifica alla disciplina della PEX.
In particolare, grazie ad una modifica all’art. 68 del TUIR, si prevede che per le società e gli enti commerciali residenti in uno Stato UE o SEE le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni:
- qualificate (ex 67, co. 1, lett. c) del TUIR),
- aventi i requisiti PEX
siano imponibili per il 5%.
Per completezza si ricordano i requisiti che la partecipazione deve rispettare per beneficiare del regime PEX:
- Classificazione in bilancio: iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie a partire dal primo bilancio successivo all’acquisto;
- Holding period: la partecipazione deve essere stata posseduta continuativamente, senza interruzione, a partire dal 1° giorno del dodicesimo mese presente quello della cessione;
- Residenza: la norma richiede la residenza della partecipata in uno stato che non attribuisce un regime fiscale preferenziale (nel caso in esame il requisito è verificato essendo la partecipazione afferente ad una società residente in Italia);
- Commercialità: la partecipazione deve svolgere attività commerciale, tale carattere deve essere verificato a partire dal terzo periodo precedente quello di cessione (sono quindi generalmente escluse le partecipazioni in società immobiliari).
Come conseguenza tali soggetti dichiareranno e verseranno l’imposta del 26% sul 5% del valore della plusvalenza realizzata, con un’aliquota effettiva dell’1,3% (pari al 5% del 26%).
Occorre tuttavia sottolineare come il nuovo intervento normativo sia parziale, giacché non prevede l’estensione del regime PEX a partecipanti Extra-UE. In tal modo viene mantenuta una restrizione (non giustificata) della libera circolazione dei capitali.
Per gli alienanti Extra-UE (i cui trattati prevedono una potestà impositiva concorrente, ad es. Cina, Corea del Sud e Israele) la normativa italiana resterebbe quindi viziata da profili discriminatori. Per sopperire a tale discriminazione potrebbe essere valutata la strada dell’istanza di rimborso.