L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 27283 del 2 ottobre 2024, una nuova pronuncia su un tema sempre delicato
La pronuncia in commento è stata resa dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione, pronunciatasi a seguito di un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello di Roma del 2019. Gli Ermellini, con un’ordinanza lineare e precisa, ripercorrono alcuni istituti fondamentali per la risoluzione della controversia, tra cui i patti parasociali, le c.d. opzioni “put” e il divieto (assoluto) previsto dal nostro ordinamento del c.d. “patto leonino”.
Tramite il richiamo di precedenti giurisprudenziali aderenti al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno concluso escludendo che, nel caso di specie, il patto parasociale oggetto della controversia potesse configurare una violazione del divieto di patto leonino, rigettando dunque il ricorso presentato dal ricorrente.
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Patto parasociale, opzione c.d. “put”, e divieto di patto leonino, tre istituti a confronto.
I patti parasociali sono accordi stipulati, tipicamente, tra i soci di una società (ma anche potenzialmente tra soci e soggetti terzi), con l’obiettivo di regolare il comportamento che gli stessi sottoscrittori sono chiamati a tenere durante la vita della società. Questi patti possono riguardare, ad esempio, la gestione della governance societaria, le regole applicabili ai trasferimenti di quote e alla disciplina in caso di exit dalla società. In modo complementare rispetto alla regolamentazione statutaria, essi creano obblighi giuridici tra i contraenti e possono contribuire a stabilizzare i rapporti tra soci.
L’opzione c.d. “put” è un vero e proprio contratto di opzione ex art. 1331 c.c. in forza del quale una parte ha il diritto potestativo (ma non l’obbligo) di vendere la propria partecipazione sociale ad un prezzo specifico. Tramite tale meccanismo, un socio si riserva la facoltà di disinvestire la propria partecipazione in una società. All’opzione c.d. “put” si contrappone tipicamente l’opzione c.d. “call”, in forza della quale una parte ha il diritto di acquisire la partecipazione dell’altro contraente.
Infine, il terzo istituto menzionato nella pronuncia in commento è il c.d. patto leonino, ossia quell’accordo in forza del quale un socio di una società viene escluso dalla ripartizione degli utili e delle perdite. Secondo il disposto dell’articolo 2265 c.c., il patto leonino è considerato un accordo illegittimo nell’ordinamento giuridico italiano, poiché contrasta con il principio di uguaglianza tra soci. La legge italiana afferma, nel menzionato articolo del Codice Civile, la nullità di qualsiasi patto «con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite».
Il caso di specie e le considerazioni della Corte di legittimità
Nella pronuncia in commento, gli Ermellini esordiscono offrendo un breve inquadramento sintetico dell’istituto del patto parasociale, evidenziando altresì come, ormai, la validità delle citate pattuizioni sia prevista addirittura a livello normativo dall’articolo 2341-bis del c.c. Successivamente, richiamando una precedente pronuncia della III Sezione Civile della Corte di Cassazione (sentenza n. 763 del 2016), viene riaffermato il principio secondo cui l’opzione “put” è qualificabile nell’ambito dei patti parasociali «se ha come obbiettivo finale quello di stabilizzare l’assetto della partecipazione di uno degli stipulanti nel capitale della società», rendendo, di fatto, del tutto ammissibile l’incontro dei due istituti, senza che necessariamente ci sia una violazione del c.d. divieto di patto leonino. Viene dunque ritenuto valido e meritevole di tutela un patto parasociale che contenga un’opzione “put” al fine di garantire a quei contraenti che la possono esercitare la facoltà di vedere remunerata la propria partecipazione ad un determinato prezzo.
Orbene, l’affermazione da parte del ricorrente secondo cui il patto parasociale oggetto di lite (contenente un’opzione “put”) sarebbe da ritenere nullo, in quanto in violazione del limite del patto leonino, è stata ritenuta infondata dalla Corte di legittimità. Come anche ribadito dalla medesima sezione con la pronuncia n. 25594/2023 «l’elemento caratterizzante del patto leonino è che lo “stravolgimento” del ruolo del socio per effetto della sua stipulazione sia: a) totale e b) costante». La Corte di Cassazione avvalora le risultanze a cui sono giunti, nella sentenza impugnata, i Giudici di merito, affermando che nel caso di specie mancherebbe il carattere assoluto e costante dell’esclusione dalle perdite. La conclusione a cui giunge la Corte è che, pertanto, il patto parasociale dedotto in lite non costituisce una violazione del divieto di patto leonino.
Considerazioni finali
La pronuncia in commento si pone in un filone già fatto proprio sia dai Giudici di legittimità sia dalle Corti di merito. Ad esempio, in una recente pronuncia la Corte di Cassazione aveva affermato come: «Il meccanismo tecnico-giuridico delle opzioni non è delimitabile solo all’interno dei derivati finanziari in ambito borsistico, ben potendo i patti parasociali contenere il medesimo meccanismo dell’opzione, ma limitato ai soci di una società, dei quali l’uno funga da socio finanziatore garantito dal patto in questione» (Cassazione civile sez. I, 07/10/2021, n.27227). Di eguale tenore è rinvenibile una pronuncia del Tribunale di Roma, il quale statuisce: «Non contravviene al divieto di patto leonino l’opzione put su partecipazioni sociali contenuta in un patto parasociale, dovendosi ravvisare nell’intera operazione il reciproco vantaggio sinallagmatico dato, per il socio finanziatore opzionato, dalla garanzia del diritto di exit mediante (ri)vendita della partecipazione» (Tribunale Roma Sez. spec. Impresa, 16/10/2022). L’ordinanza n. 27283 del 2 ottobre 2024 chiarisce dunque, ancora una volta, il delicato legame tra le opzioni “put” e il divieto di patto leonino, nel panorama del più ampio istituto dei patti parasociali, andando a rafforzare la posizione già fatta propria dalla stessa Suprema Corte e altresì dalla giurisprudenza di merito.