Conversione in legge del decreto mille proroghe: le novità per il lavoro
È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2024 la L. 18/2024, di conversione del D.L. 215/2023 (c.d. Decreto Mille Proroghe).
Si segnalano le seguenti novità per il lavoro e l’amministrazione del personale.
Contratti a termine
Viene prorogata fino al 31 dicembre 2024 la possibilità di individuare, per giustificare rapporti a termine nel momento in cui la durata complessiva del rapporto supera i 12 mesi anche a seguito di proroghe e rinnovi, esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva in assenza di specifiche previsioni contenute nei contratti collettivi (articolo 18, comma 4-bis).
Si segnala che la data sopra indicata rappresenta il termine ultimo per sottoscrivere contratti a termine, che superino la soglia di 12 mesi, sulla base di ragioni che prescindono dalla contrattazione collettiva: la scadenza del contratto potrà infatti essere successiva a tale data.
Si ricorda, infine, che nel contratto dovranno essere specificate le ragioni, temporanee e oggettive, che rientrano nelle causali sopra indicate e che giustificano la durata a termine di quel contratto.
Lavoro sportivo
Le figure degli istruttori presso impianti e circoli sportivi di qualsiasi genere, dei direttori tecnici, e degli istruttori presso società sportive, già iscritte presso il Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo hanno diritto di optare, entro il 30 giugno 2024, per il mantenimento del regime previdenziale già in godimento.
Viene prevista l’esenzione fino al 31 dicembre 2024 dalla ritenuta alla fonte relativa ai premi corrisposti ad atleti e tecnici per i risultati ottenuti nelle competizioni sportive (articolo 14, comma 2-bis, 2-ter e 2-quater).
Ravvedimento speciale
Il ravvedimento speciale (pagamento di un diciottesimo del minimo edittale delle sanzioni irrogabili previsto dalla legge, oltre all’imposta e agli interessi dovuti) si applica anche alle violazioni riguardanti le dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2022. A tale fine, il versamento delle somme dovute può essere effettuato in un’unica soluzione entro il 31 marzo 2024 ovvero in 4 rate di pari importo da versare, rispettivamente, entro il 31 marzo 2024, entro il 30 giugno 2024, entro il 30 settembre 2024 ed entro il 20 dicembre 2024. Sulle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 2% annuo. La regolarizzazione di cui al presente comma si perfeziona con il versamento di quanto dovuto in un’unica soluzione ovvero con il versamento della prima rata entro il 31 marzo 2024 e con la rimozione delle irregolarità od omissioni.
La tassazione dei fringe benefit per l’anno 2024
L’Agenzia delle entrate, con circolare n. 5/E/2024 e con risposta a interpello n. 59/E/2024, ha fornito i seguenti chiarimenti in merito alla detassazione dei premi di produttività:
- anche per l’anno 2024 l’aliquota agevolata di tassazione dei premi di risultato è pari al 5% (e non del 10% come ordinariamente previsto);
- l’indice incrementale previsto dalla contrattazione collettiva al fine dell’ottenimento della detassazione deve essere direttamente correlato alla determinazione del premio. Ai fini dell’agevolazione fiscale non può essere previsto un indice di efficienza che debba essere incrementale solo ai fini dell’agevolazione fiscale e non ai fini della corresponsione del premio
La detassazione dei premi di risultato
L’Agenzia delle entrate, con circolare n. 5/E/2024, ha fornito indicazioni in merito alla gestione dei fringe benefit nell’anno 2024.
In particolare, con tale circolare il Fisco ha chiarito i seguenti aspetti:
- i fringe benefit, per l’anno 2024, non concorrono a formare il reddito dei lavoratori entro il limite complessivo di 1.000 euro. Tale soglia è innalzata a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico. A tal fine il lavoratore dovrà dichiarare di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli;
- i datori di lavoro dovranno informare le RSU ove presenti in azienda dell’utilizzo del beneficio;
- rientrano nelle soglie di esenzione anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica, del gas naturale, e le somme erogate per le spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa;
- per prima casa si intende l’abitazione principale utile per ottenere le detrazioni sugli interessi passivi del mutuo o dei canoni di locazione;
- le spese rimborsabili esentasse devono riguardare immobili a uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, nei quali essi dimorino abitualmente, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese;
- nelle spese per l’affitto rientra il canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno;
- il datore di lavoro deve acquisire e conservare per eventuali controlli, la documentazione necessaria per giustificare che il rimborso è stato considerato nel limite di esenzione fiscale e contributiva. In alternativa il datore di lavoro potrà acquisire e conservare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte del lavoratore che attesti il ricorrere dei presupposti previsti dalla norma.
In relazione alla nuova tassazione dei prestiti, l’Amministrazione finanziaria afferma che il D.L. 145/2023 ha previsto che: per i prestiti a tasso variabile, si deve prendere a riferimento il Tur vigente alla data di scadenza di ciascuna rata; per i prestiti a tasso fisso, invece, il Tur da considerare è quello vigente alla data di concessione del prestito ovvero alla data di stipula del contratto di accollo/subentro/rinegoziazione/surroga del mutuo. Tale disposizione è valida a decorrere dal periodo d’imposta 2023.
Precisazioni in tema di categorie per il welfare aziendale
L’Agenzia delle entrate con risposta a interpello n. 57/E/2024 fornisce un chiarimento, per la verità dissonante con quanto fino a oggi indicato e che per tale motivo merita attenzione, in ordine all’individuazione delle categorie utili per erogare beni e servizi in natura non imponibili fiscali e previdenziali nell’ambito di un piano di welfare aziendale. È noto che la regola generale contenuta nel Tuir (articolo 51) stabilisce che “Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Con la predetta disposizione viene sancito il c.d. “principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, in virtù del quale tutte le somme e i valori che il dipendente percepisce, a qualunque titolo, in relazione al rapporto di lavoro, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Il medesimo articolo 51 individua, tuttavia, al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3, specifiche deroghe, elencando le opere, i servizi, le prestazioni e i rimborsi spesa che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte, sempreché l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente in violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione. In altri termini, precisano i tecnici dell’Agenzie delle entrate, la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente deve essere coordinata con il principio di onnicomprensività che, riconducendo nell’alveo di tale categoria reddituale tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, riconosce l’applicazione residuale delle predette deroghe, in ragione anche della circostanza che i benefit ivi previsti non sempre assumono una connotazione strettamente reddituale. Pertanto, qualora tali benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio, per incentivare la performance del lavoratore o di ben individuati gruppi di lavoratori), il regime di totale o parziale esenzione non può trovare applicazione. La medesima Agenzia delle entrate con la circolare n. 28/E/2016 definisce welfare aziendale le “prestazioni, opere, servizi corrisposti al dipendente in natura o sotto forma di rimborso spese aventi finalità che è possibile definire, sinteticamente, di rilevanza sociale, escluse dal reddito di lavoro dipendente”. Come ribadito nella risoluzione n. 55/E/2020 occorre che i benefit siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti. Al riguardo, l’Amministrazione finanziaria ha più volte precisato che il Legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione “alla generalità dei dipendenti” ovvero a “categorie di dipendenti”, non riconosce l’applicazione delle disposizioni tassativamente elencate nel comma 2 ogni qual volta le somme o servizi ivi indicati siano rivolti ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori. La citata prassi ha ulteriormente chiarito che l’espressione “categorie di dipendenti” utilizzata dal Legislatore non va intesa soltanto con riferimento alle categorie previste nel codice civile (dirigenti, operai, etc.), bensì a tutti i dipendenti di un certo “tipo” o di un certo “livello” o “qualifica” (ad esempio, tutti gli operai del turno di notte), ovvero a un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle “utilità” previste. Non si ritiene, invece, possibile individuare una “categoria di dipendenti” sulla base di una distinzione, e qui sta l’improvviso revirement dell’Agenzia delle entrate, non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente.
Inoltre, nell’ipotesi in cui il piano di welfare fosse alimentato anche da somme costituenti retribuzione fissa o variabile degli aderenti – fatta salva l’ipotesi disciplinata per i premi di produttività detassabili – ovvero la parte di importo riconosciuto ai dipendenti sotto forma di welfare (c.d. credito welfare) non utilizzato si convertisse in denaro, rimarrebbe impregiudicata la rilevanza reddituale dei “valori” corrispondenti ai servizi offerti agli stessi in base alle ordinarie regole dettate per la determinazione del reddito di lavoro dipendente. Nello specifico l’Agenzia delle entrate ha preso in esame il caso di un datore di lavoro che intende erogare, alle lavoratrici madri che usufruiscono del congedo parentale, un importo, sotto forma di welfare, corrispondente alla differenza tra il 100% della retribuzione lorda e l’indennità o congedo parentale, per un periodo di 3 mesi. Al riguardo, viene rilevato che la somma che alimenta il credito welfare individuale sarebbe costituita dalla differenza tra quanto erogato dall’Inps e la retribuzione fissa spettante alla dipendente qualora rientrasse in servizio. Nella risposta a interpello viene rilevato che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea a individuare una “categoria di dipendenti” nel senso sopra illustrato, e si ritiene così che le somme in oggetto debbano assumere rilevanza reddituale in quanto, rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive.
Rapporto periodico personale maschile e femminile
Le aziende che occupano più di 50 dipendenti devono redigere, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, sia in relazione al complesso delle unità produttive e delle dipendenze, sia in riferimento a ciascuna unità produttiva con più di 50 dipendenti.
Il Decreto Interministeriale del 29 marzo 2022 e il relativo Allegato A ne definiscono le modalità di redazione. Le aziende che occupano fino a 50 dipendenti possono redigere il rapporto su base volontaria.
Il rapporto deve essere redatto in modalità esclusivamente telematica tramite l’applicativo informatico disponibile sul portale Servizi Lavoro.
Limitatamente al biennio 2020-2021, il termine di trasmissione del rapporto era stato prorogato al 30 settembre 2022. Per i bienni successivi, il termine di trasmissione è confermato al 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza di ciascun biennio (per il biennio 2022-2023 entro il 30 aprile 2024).
Attraverso l’applicativo informatico, entro il 31 dicembre di ogni anno, è reso disponibile alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, l’elenco, redatto su base regionale, delle aziende tenute all’obbligo di trasmissione del rapporto. Analogamente, sono resi disponibili alle consigliere e ai consiglieri di parità regionali, delle Città metropolitane e degli enti di area vasta gli elenchi riferiti ai rispettivi territori.
La mancata trasmissione – anche dopo l’invito alla regolarizzazione da parte dell’Ispettorato del Lavoro competente per territorio – comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 11, D.P.R. 520/1995; se l’inottemperanza si protrae per oltre 12 mesi, è disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.
L’INL verifica la veridicità dei rapporti e, in caso di rapporto mendace o incompleto, è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro.