CORPORATE:
Dimissioni dell’amministratore di s.r.l. e legittimazione alla modifica presso il Registro delle Imprese
Non è prevista per le srl una disciplina espressa in ordine alla rinuncia all’incarico di amministratore: secondo alcuni, comunque, sarebbe applicabile in questo ambito la disciplina prevista per le s.p.a. che prevede la necessaria comunicazione al cda ed al presidente del collegio sindacale. Secondo quanto stabilito da una recente pronuncia, dal momento della comunicazione delle proprie dimissioni l’amministratore perde la legittimazione a comunicazione al Registro delle Imprese ogni atto della società e quindi anche le dimissioni in oggetto. L’amministratore, quindi, diventa un “estraneo” alla società e può solo agire in via amministrativa per “far obbligare la società” all’iscrizione delle dimissioni entro congruo termine (decorso il quale, può essere ordinato dal Giudice del Registro l’immediata iscrizione con decreto). Tale ultima procedura si qualifica di volontaria giurisdizione ma non è escluso il ricorso alla via contenziosa (anche per risarcimento danni da tardiva iscrizione delle dimissioni, in favore dell’amministratore dimissionario).
Responsabilità del liquidatore per i debiti societari non pagati
Come noto compito del liquidatore è quello di dare esecuzione al procedimento di liquidazione, ripagare i creditori e liquidare l’eventuale saldo attivo tra i soci. Nell’ambito della sua attività, pertanto, il liquidatore è tenuto ad agire in buona fede per la migliore allocazione delle risorse societarie, come appena precisato. Una recente pronuncia di legittimità ha precisato che, se da determinati fatti accertati nel corso di un contenzioso inerente la società posta in liquidazione, dovesse prospettarsi l’emergere dell’esistenza di un credito (mai inserito nei bilanci di liquidazione, il liquidatore non incorre in alcuna responsabilità in assenza di qualsiasi elemento attivo da liquidare e ripartire. Infatti, seppure sia previsto dalla legge che la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento sia dipeso da colpa di questi, ciò comporta di conseguenza che il creditore debba allegare e provare l’esistenza di attività suscettibili di essere recuperate o utilizzate.
Quote di Srl PMI: possibili categorie di quote con diritti diversi come le azioni
La recente diffusione della normativa di fonte europea sulle PMI ha aperto la strada a soluzioni prima controverse, se non addirittura ritenute non ammissibili. Tra queste vi è l’espresso riconoscimento della possibilità, oggi, di creare quote di s.r.l. fornite di diritti diversi e modellate sulla disciplina delle azioni (salvi ovviamente gli adattamenti che non possono essere estesi alla struttura della s.r.l.): l’unica norma finora applicabile in materia di s.r.l. era quella secondo cui le quote di s.r.l. possono essere dotate di particolari diritti (ritenuti in maggioranza legati alla persona del socio) con riferimento all’amministrazione ed agli utili, senza però che ciò determini la creazione di “categorie di quote”. Con la diffusione delle PMI, invece, è possibile creare anche categorie di quote, come per le categorie di azioni, che devono rispettare unicamente il limite del patto leonino (ossia non possono essere create categorie di quote che escludano del tutto la partecipazione di un socio dagli utili o dalle perdite). È comunque necessario che le quote appartenenti alla medesima categoria conferiscano i medesimi diritti.
D. LGS 231/2001:
Modello 231 non efficace se non è operativo
Secondo un orientamento ormai consolidato in materia non è sufficiente la mera nomina di un organismo di vigilanza e la semplice adozione del modello, se questo poi non sia reso operativo da parte dell’ente, ai fini del riconoscimento dell’attenuante prevista per le sanzioni pecuniarie. In caso di attuazione in concreto (se reso efficace) del modello di cui alla legge n. 231/2001, l’ente può infatti beneficiarie di una riduzione della sanzione pecuniaria da un terzo alla metà. Senza la concreta attuazione del modello, infatti, la mera adozione e la nomina dell’organismo di vigilanza risulterebbero inutili, ai fini dell’applicazione della prevista normativa di favore dal decreto. Rendere operativo il modello vuol dire fare in modo che all’interno della sua parte speciale vengano previste delle specifiche procedure e prassi operative, concretamente idonee a prevenire la realizzazione di un reato previsto dal catalogo, mappando tutte le zone di rischio collegate alla specifica attività svolta dall’ente: ciò ai fini di meglio individuare le possibili fattispecie di reato che potrebbero verificarsi.
Il “patteggiamento” dell’ente nella responsabilità 231 e la condanna alle spese processuali
In caso di applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell’ente (c.d. “patteggiamento”), ai sensi dell’art. 63 del D.Lgs. 231/2001, non comporta la condanna dell’ente medesimo al pagamento delle spese processuali: questo recente orientamento si sta sempre più diffondendo in giurisprudenza, come anche confermato da una recente pronuncia di Cassazione. L’applicazione all’ente della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero definibile secondo le condizioni previste dal codice di procedura penale, nonché in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria. Il richiamo del D. Lgs. 231/2001 al codice di procedura penale conferma che la responsabilità prevista dal primo è solo formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale.
Secondo la giurisprudenza citata in apertura l’ente può accedere al “patteggiamento” in tre ipotesi: se anche il processo nei confronti della persona fisica che ha agito per suo conto si concluda in tal modo; se tale processo sia normativamente suscettibile di essere definito secondo quel rito, ma non vi sia accordo tra le parti o, per qualsiasi altra ragione, tale definizione non si realizzi; se, a prescindere dalle scelte di rito dell’imputato persona fisica e dall’esito del giudizio nei suoi confronti, anche per quel che concerne la misura della pena da lui concordata, l’illecito amministrativo da reato ascritto all’ente medesimo sia punibile con la sola sanzione pecuniaria e non anche, cioè, con una delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 del D.Lgs. 231/2001.
LDP rimane a vostra disposizione per qualsiasi ulteriore informazione o approfondimento degli argomenti sopra trattati.