Le Linee Guida OCSE del 2010 affermavano che nell’applicazione del transfer pricing si devesse dare precedenza al confronto interno dei prezzi (il c.d. “CUP”), basato sui listini e le tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi nel rapporto con una impresa indipendente, rispetto al criterio del “margine netto della transazione” (il cd. “TNMM”) il quale è invece fondato su di una comparazione esterna riferita ad un benchmark di operatori comparabili.
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Tuttavia, il tema dell’esistenza di una gerarchia dei criteri di determinazione e di testing dei prezzi di trasferimento risulta essere stato superato con l’applicazione delle “nuove” Linee Guida OCSE, per dar spazio al concetto di scelta più coerente alla fattispecie analizzata. In particolare, viene previsto che la selezione di un metodo si pone l’obiettivo di trovare quello più appropriato ad un caso particolare, prendendone in considerazione aspetti quali, la coerenza del metodo considerato, la disponibilità di informazioni affidabili, il grado di comparabilità tra le transazioni tra le imprese associate e quelle tra parti indipendenti. Difatti, nessun metodo è utilizzabile in tutte le situazioni possibili, né è necessario dimostrare la non applicabilità di un dato metodo alle circostanze del caso di specie.
Con la sentenza n. 26432 depositata il 10 ottobre 2024, la Corte di Cassazione si è espressa sulla rilevanza delle raccomandazioni dell’OCSE in tema di Transfer Pricing, con specifico riferimento alla gerarchia dei metodi di determinazione del valore normale ai sensi dell’art. 110, comma 7 del d.P.R. n. 917/1986.
Tale sentenza ha ribadito il concetto secondo cui le Linee Guida OCSE non rappresentano una fonte giuridica, in quanto non stabiliscono un ordine di priorità tra i metodi di determinazione dei prezzi, a meno che tale preferenza non sia prevista esplicitamente dalla legge, decisione che spetta comunque al Legislatore e non all’OCSE.
La fattispecie
Il caso in questione riguarda un Gruppo multinazionale composto da un’unica società produttiva, residente nel territorio dello Stato, con un profilo funzionale a basso rischio e da società distributive con sede all’estero. Il Gruppo opera in un mercato da considerarsi “chiuso”, i cui prezzi non sono frutto della libera concorrenza tra gli operatori, ma si produce sulla base di ordini già confermati.
La verifica subita dalla società aveva riguardato il periodo d’imposta 2008.
Scelta del Contribuente
Interpretando “letteralmente” le linee guida OCSE di riferimento in vigore per l’annualità sotto verifica, il Gruppo, ai fini della determinazione dei prezzi infragruppo, ha adottato il metodo CUP (Comparable Uncontrolled Price) che, come rappresentato sopra, fino al 2010 era da considerarsi il metodo preferito nella “gerarchia” dei metodi previsti.
Scelta dell’Ufficio
L’Ufficio ha contestato l’utilizzo del metodo CUP, ritenendo di dover preferire il metodo del TNMM (Transactional Net Margin Method) poiché maggiormente attendibile nella fattispecie in esame.
Abbandono del concetto di Gerarchia nella scelta dei metodi
La Corte di Cassazione, trattandosi di mercato aperto con prezzo non controllabile, ha ritenuto che il sistema di TNMM fosse più aderente al caso di specie rispetto al CUP, poiché il margine di guadagno risulta essere il criterio più indicativo rispetto al prezzo, che in tal caso non sarebbe frutto di libero mercato. L’Ufficio ha quindi operato correttamente individuando operatori similari, escludendone altri e articolando la sua ripresa a tassazione.
In particolare, la stessa ha evidenziato che la raccomandazione dell’OCSE del 2010 non è idonea a stabilire un ordine gerarchico tra i metodi, cosa che potrebbe eventualmente essere fatta solo da una legge.
Viene così stabilito un principio di diritto secondo il quale “le raccomandazioni OCSE non si inseriscono nella gerarchia delle fonti normative, ma forniscono sussidi e metodi operativi (norme tecniche) per l’attuazione nello specifico di disposizioni legislative”, come quella che interessa il valore normale richiamato dall’art. 110 comma 7 del TUIR.
La Suprema Corte prosegue evidenziando che è onere del contribuente e/o del verificatore individuare il metodo maggiormente compatibile con la singola casistica.
Conclusioni
La posizione della Suprema Corte si pone in linea con quanto previsto dalla disciplina nazionale in materia di Transfer Pricing con particolare riferimento al D.M. 15 maggio 2018 contenente le linee guida per l’applicazione delle disposizioni in materia di prezzi di trasferimento.
L’articolo 4 del citato decreto prevede infatti che la valorizzazione di un’operazione controllata in base al principio di libera concorrenza sia da determinare applicando il metodo più appropriato alle circostanze del caso e solamente qualora possa essere applicato con lo stesso grado di affidabilità sia il metodo del CUP che ogni altro metodo per la determinazione dei prezzi di trasferimento (i.e. RPM-Resale Price Method, CPM-Cost Plus Method, PSM-Profit Split Method e TNMM-Transactional Net Margin Method), il CUP è il metodo da preferire.
L’OCSE di fatto propone modelli ma sta poi alle norme dei Paesi contraenti fissare eventualmente delle priorità sui metodi di Transfer Pricing.