Secondo il Tribunale di Trento (sentenza dell’8 luglio 2021), è legittimo il licenziamento per giusta causa di una dipendente di una scuola di infanzia pubblica che ha rifiutato ripetutamente di indossare la mascherina sul luogo di lavoro.
Con la sentenza in commento, il Giudice di primo grado:
- ha rigettato le domande della dipendente, affermando che la condotta a lei contestata è meritevole di licenziamento per giusta causa avendo la stessa “anteposto all’interesse generale (oltre che a quelli di utenti e colleghi) proprie convinzioni personali che non trovano fondamento (contrariamente alle prescrizioni che impongono l’utilizzo della mascherina sui luoghi di lavoro, specialmente se chiusi) in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica perché sottoposte a severe verifiche“;
- ha considerato la condotta della ricorrente quale violazione della normativa a tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, posto che la mascherina deve considerarsi a tutti gli effetti un dispositivo di protezione individuale.
Nella decisione, il Tribunale di Trento disquisisce anche del materiale probatorio e delle difese spiegate dalla lavoratrice, avendo modo di precisare che:
- nella documentazione medica prodotta dalla stessa non si rinviene alcun certificato rilasciato da sanitari che attesti la impossibilità per ragioni di salute a indossare la mascherina (condizione questa che, in ogni caso, “presupponendo una valutazione di ordine tecnico-scientifico, non può costituire oggetto di prova testimoniale”);
- la stessa non ha allegato alcun elemento oggettivamente apprezzabile che giustifichi l’effettuazione nel presente giudizio di un accertamento tecnico riguardante specificamente la sua persona.
A nulla sono valsi neppure i tentativi della lavoratrice di giustificare il proprio comportamento – il rifiuto di indossare la mascherina – sulla base di specifiche motivazioni psicopedagogiche, in virtù della sua esperienza professionale posto che, a suo dire, studi scientifici sostengono che “l’adozione di dispostivi di sicurezza che celano gran parte del volto, come nel caso di specie le mascherine, comporta disturbi psicologici su bambini di età compresa tra 1 e 5 anni”.
Per il Giudice, infatti, queste argomentazioni sono prive di pregio dal momento che, com’è evidente, si tratta di valutazioni espresse al di fuori della contingente emergenza pandemica, dove assume un rilievo prioritario la tutela dell’integrità fisica, la quale si trova esposta a pregiudizi certi e gravissimi.
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In definitiva, la condotta, di cui la ricorrente si è resa responsabile, integra una giusta causa di licenziamento quale lesione grave e irreparabile dell’elemento fiduciario, che sta alla base del rapporto di lavoro, tenuto conto del suo comportamento:
- non solo nel suo contenuto oggettivo – con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto e al grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate – nel caso di specie tenuto conto che le mascherine sono considerate dal legislatore un dispositivo di protezione individuale;
- anche nella sua portata soggettiva – con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente – nel caso di specie, non potendo biasimare la condotta della ricorrente, la quale ha anteposto all’interesse generale le proprie convinzioni personal
A tal proposito occorre ricordare che l’art. 20 co. 1 D. Lgs. n. 81/2008 prescrive che: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”; in particolare il successivo co. 2 lett. d) impone ai lavoratori “utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”.
Se tutto ciò non bastasse, non si può inoltre non tener presente che il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo per l’omessa adozione delle misure di prevenzione dei rischi presenti nel luogo di lavoro, ma anche quando manca di vigilare che di tali misure i lavoratori abbiano fatto effettivamente uso.
Si consideri, tuttavia che per quanto le motivazioni del giudicante siano condivisibili, trattandosi di una decisione di primo grado e di un primissimo arresto su una condotta di tale tenore che sicuramente sarà oggetto di diverse e future pronunce, è opportuno che il datore di lavoro valuti con la massima prudenza l’adozione dell’eventuale procedimento disciplinare, affidandosi ad un consulente specializzato.