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Legittimità del licenziamento del dirigente: è sufficiente anche una esternazione fortemente critica – manifestata via e-mail – nei confronti del datore di lavoro

by Antonella Iacobellis | Feb 22, 2022 | Blog

La Cassazione del 26 gennaio 2022, n. 2246 torna a pronunciarsi in merito al concetto di “legittimità” del licenziamento del dirigente, affermando che è sufficiente un singolo episodio d’intemperanza a legittimare il licenziamento del dirigente purché incida sul vincolo fiduciario (peraltro, più “stringente” tra datore di lavoro e dirigente in considerazione dell’elevato ruolo assunto da quest’ultimo).

Prima di approfondire la vicenda posta all’attenzione della Suprema Corte, si ricorda che per la legittimità del licenziamento del dirigente non è richiesta necessariamente l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo), ma è sufficiente la semplice “giustificatezza” dello stesso.

La nozione di “giustificatezza” è stata riscritta più volte dalla giurisprudenza. Da ultimo si considerino:

  • Corte appello Milano, sez. lav., 20/07/2021, n. 871: “In tema di licenziamento di dirigente, l’ampia nozione di “giustificatezza” si discosta da quelle di giustificato motivo e giusta causa, posto che la “giustificatezza” include qualsiasi motivo di recesso che non sia arbitrario, pretestuoso, non corrispondente alla realtà. Pertanto, la sua ragione deve essere rinvenuta unicamente nell’intento di liberarsi del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore. La ‘giustificatezza’ è dunque ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale, in attuazione di un riassetto societario e non emerga la natura discriminatoria o la violazione del principio di correttezza e buona fede che costituisce comunque il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento”;
  • Tribunale , Modena , sez. lav. , 27/04/2021 , n. 215: “La nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, prevista da alcuni contratti collettivi ai fini del riconoscimento di un’indennità supplementare, non coincide con quella di ”giusta causa” o “giustificato motivo” del licenziamento del lavoratore subordinato, ma è molto più ampia, e si estende sino a comprendere qualsiasi motivo di recesso che ne escluda l’arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, e del divieto di licenziamento discriminatorio.”.

 

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Ciò premesso, la vicenda sottoposta al giudizio di legittimità trae origine dal provvedimento espulsivo adottato nei confronti di un dirigente, a seguito dell’esternazione via e-mail (una sola) del proprio rammarico al datore di lavoro.

Nel caso in specie, il dirigente aveva inviato una e-mail del seguente tenore al datore di lavoro: “Voi avete tradito la mia fiducia e buona fede e non so quanto potrò andare avanti a sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile“.

Il dirigente impugnava il licenziamento ritenendolo illegittimo perché non sorretto da una giusta causa e chiedeva la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’indennità supplementare, nonché di quella sostitutiva del preavviso.

Dopo la sentenza favorevole ottenuta dal lavoratore in primo grado, in cui veniva accertato il difetto di giusta causa, la Corte d’Appello territorialmente competente confermava la sentenza del Tribunale, precisando tuttavia un’esternazione di questo tenore, pur non integrando una giusta causa di licenziamento consente di ritenere configurata, tenuto conto del ruolo apicale e della conseguente intensità del vincolo fiduciario in essere, la nozione di “giustificatezza” con conseguente non debenza della indennità supplementare.

Con unico motivo il Dirigente impugnava la sentenza di secondo grado osservando come la Corte di Appello aveva errato nel ricondurre alla nozione di giustificatezza del licenziamento la sola esternazione citata causata da un episodio che aveva innescato nel dirigente una reazione psicologica. Secondo il dirigente, la nozione di giustificatezza del licenziamento “costituiva una nozione di diritto, riconducibile, come per la giusta causa, ad una norma elastica, era valutabile in sede di legittimità l’erronea sussunzione del fatto, non potendo la giustificatezza essere integrata da un unico episodio di intemperanza”.

La Suprema Corte, tuttavia, ha concordato con le argomentazioni fornite dalla Corte di Appello, rilevando che il turbamento del vincolo fiduciario nell’ambito del rapporto lavorativo risulta essere tanto più intenso quanto più elevato è il ruolo del dipendente (quindi, a maggior ragione, se si tratta di un dirigente), il tutto in conformità a una valutazione delle condotte delle parti alla stregua dei criteri di correttezza e buona fede.

Allo scopo, la sentenza della Cassazione in commento ha ricordato la giurisprudenza della medesima Corte a mente della quale ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente.

Non si può non notare come il vaglio sulla nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente anche questa volta sotto la lente della giurisprudenza ha fatto emergere la peculiarità del rapporto dirigenziale.

 

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